Siamo malati di burocrazia
La verità è che in Italia siamo malati di burocrazia.
Questa storia racconta il covid e la mia esperienza con la malattia.
E’ da un po’ che non pubblico contenuti e ogni volta che accade mi sento in colpa.
Questo sito web è un libero spazio in cui, in base al mio mutevole umore, scelgo di pubblicare poesie, racconti, criptiche e noiose disamine filosofiche e ogni altro contenuto che possa venirmi in mente.
Scelgo di curare lo stile in base ai desiderata, al tempo disponibile e alle sensazioni che ho in merito all’articolo.
Il post che segue è un articolo di dura e convinta denuncia. Un articolo stanco che tuttavia non si rassegna, perché io non mi rassegno.
Inizio
Esattamente undici giorni fa, in data 02/12/2021, sviluppavo i primi non trascurabili sintomi della malattia da Covid 19.
Il giorno sabato 4 Dicembre sceglievo di recarmi a scuola nonostante la singolare stanchezza che la notte mi aveva avvinto. Le ragioni sono plurime, sebbene la più concreta fosse che la sera del venerdì avevo ottenuto una risposta che attendevo da tempo, evento cui ascrissi il prosciugamento delle mie energie.
La mattina ero in aula in stato cadaverico. I miei allievi, cui sono molto affezionato, mi vedettero pallido e me lo fecero notare. Ricordo con grande emozione quella circostanza. Per l’umanità e la vicinanza manifestatami meritano la mia sincera riconoscenza.
La mattina del sabato principiai a sospettare che la mia stanchezza fosse cagionata da motivi ben più seri.
Prima di procedere nella narrazione è bene che il lettore sia messo al corrente di un dettaglio burocratico di grande valore per la continuazione del racconto: lo scrivente, sebbene domiciliato a Reggio Emilia, è attualmente residente a Napoli. Ciò implica l’impossibilità ad accedere ai più basilari servizi sanitari della Regione Emilia Romagna.
Inizio ma più incavolato
Tentai pertanto di contattare il servizio di continuità assistenziale della città di Reggio. Rispose una gentile dottorossa molto affabile la quale, avendo appreso i sintomi che s’erano frattanto palesati, senza indugio richiese un tampone all’AUSL RE ponendomi in isolamento fiduciario.
L’AUSL, come qualunque bella donna, si fa desiderare. La data del tampone mi venne comunicata solo il giorno martedì per il giorno venerdì, in tardissima serata.
Ciò, in barba a ogni procedura di buonsenso, non è sufficiente affinché sia automaticamente prolungato l’isolamento. Stando ai protocolli di gestione della pandemia della regione Emilia Romagna, era mia facoltà recarmi a scuola e contagiare liberamente. “Fortuna” che, preda dei sintomi del Covid, avevo un robusto alibi per domandare al dottore in turno del servizio di continuità assistenziale un prolungamento dell’isolamento fiduciario sino all’espletamento del tampone.
Tutto questo rigorosamente di notte, perché durante il giorno i non risidenti perdono ogni diritto sanitario telematico.
Mugugnare
Mi si conceda una breve digressione. A qualcuno sfugge forse che i medici di famiglia sono impossibilitati a concedere certificati di malattia se l’attuale domicilio del paziente è distante dalla propria residenza abituale. Ciò allo scopo di prevenire abusi. Quale sia l’abuso da prevenire non è materia del conoscere. Eppure, avrà pensato il legislatore, l’abuso in Italia è sempre dietro l’angolo, e questa sembrava una eventualità sospetta.
Non è certo contemplato che un pover’uomo (o pover donna per cavalleresca par condicio) possa ammalarsi per qualche giorno in trasferta e il medico visitarlo tramite Skype o videochiamata Whatsapp. D’altro canto, se ho il dannatissimo raffreddore, non c’è molto da visitare. Ho il raffreddare. Permettimi di autodichiararlo fino ad un certo numero di giorni ogni anno e snelliamo lavoro e burocrazia.
Naturalmente, snellire e bucrocrazia sono in Italia concetti antinomici, la loro miscela è quasi sempre esplosiva e il risultato del loro innesco è la produzione di un nuovi, mostruosi baracconi burocratici allo scopo di foraggiare la mangiatoia bassa di qualche famelico burosauro.
Metà storia incavolata
Se vi eravate affezionati alla mia personale avventura e siete arrivati fin qui vi prometto che non rimarrete delusi.
Il giorno preposto al tampone sono fritto dal Covid. La malattia mi ha profondamente debilitato, al punto da giungere anche a soffrire di inquietanti discrasie temporali.
All’ora prevista, nonostante la febbre, mi vesto, esco di casa e sopportando stoicamente i meno tre gradi di Reggio Emilia percorro a piedi i venti minuti di cammino che mi separano dall’AUSL.
Dopo il tampone mi incammino di nuovo verso casa.
Tuttavia non poteva filare tutto così liscio.
Realizzo che il rincoglionimento da Covid mi ha fatto dimenticare le chiavi a casa. Dietro la toppa. Dove vivo da solo.
Armato di pazienza (oltreché di una penna e due carte di credito) forzo dall’esterno la porta blindata. Tutto questo mi costa tempo ed energie. Apro la porta di casa stremato e mi lancio sul letto.
Il tampone è naturalmente positivo.
Almeno potrò riposare senza preoccuparmi del lavoro. Giusto? Giusto…?
Non giusto.
Il giorno seguente, sebbene abbia comunicato BEN DUE VOLTE via email (perché non avevo la forza per chiamare) di essere positivo e quindi in quarantena, l’ufficio personale mi contatta telefonicamente per informarmi che le mie sono assenze ingiustificate perché non ho presentanto alcun certificato di quarantena.
Certificato che avrebbe dovuto produrre l’AUSL ma che per incapacità della struttura non è pervenuto. Sono tra l’incudine di una scuola che ha come unico interesse la propria verginità burocratica e il martello di un AUSL il cui numero unico per le emergenze COVID è occupato ad ogni ora della settimana da oltre dieci giorni.
Risolvo il problema contattando il mio medico curante e chiedendogli di registrare a mio nome un certificato di quarantena presso L’INPS che infine inoltro alla scuola.
Siamo malati di burocrazia
Ad oggi non so ancora se l’AUSL RE sappia che io sia in quarantena, in attesa del prossimo tampone.
La sopravvalutatissima Emilia Romagna ha, ancora una volta, mostrato quanto c’è di vero circa la propria decantata sanità e quanto invece sia pubblicità e chiasso mediatico.
Vi lascio con un appello. L’appello di un futuro in cui la burocrazia possa essere superata da piattaforme informatiche snelle e nazionali e da dirigenti che possano assumersi la responsabilità di superare il protocollo per gestire l’eccezione.
Il nichilismo della nostra era è cagionato anche da procedure bucratiche stolide e contaminanti, al servizio non già del cittadino bensì della egoistica velleità delle amministrazioni di evitare ricorsi e grane legali. La verità è che in Italia non siamo malati solo di Covid, siamo malati anche e soprattutto di burocrazia.
E voi, coraggiosi avventurieri, siete mai riusciti a contattare il numero verde per l’emergenza COVID dell’AUSL RE?