La quercia e il sultano

La quercia e il sultano

Durante una battuta di caccia, il giovane sultano si imbattè in una gigantesca quercia.
Ripose la freccia nella faretra e guardò ammirato l’albero. In tutto il suo regno mai una pianta aveva raggiunto una simile imponenza. Rivolgendosi alla quercia, esclamò ammirato:

Vorrei vivere la metà dei tuoi anni

Rispose la quercia:

Ti auguro di viverne il doppio!

Lo scambio di battute tra la quercia e il sultano continuò a lungo:

Purtroppo, per quanto lunga, ogni vita è destinata a finire. Tutto ciò che ha un principio ha anche una fine.

Persino tu, sultano, sei destinato a finire?

Persino io. Io che vesto di cobalto e porpora e che posseggo la più grande armata di cui la terra abbia memoria.

Sono proprio curioso. Quando morirai?

La tua stoltezza non rende giustizia alla tua stazza. Di solito la vecchiaia porta in dote la saggezza. Dovresti sapere, stolida quercia, che è impossibile prevedere la propria morte.

E allora, grande sultano, perché sei così convinto della tua morte?

Il sultano iniziò ad agitarsi.

Dovresti sapere, data la tua centenaria esperienza, che ogni uomo è destinato a morire. Negli anni le tue radici hanno bevuto il sangue di prodi soldati e faune boschive. Hai tu stessa accompagnato sotto la gentile protezione delle tue fronde una moltitudine di esseri al tramonto della loro vita. Il nostro tempo è limitato.

Certo, se tu conti il tempo.

Tu vaneggi, proprio mentre noi parliamo, il tempo ci sottrae secondi di vita preziosi. Probabilmente dovrei smettere di sprecare il mio tempo con te e tornare a dedicarmi alla mia caccia.

Guarda il ruscello a pochi passi da noi. Cosa vedi?

Vedo colonie di pesci risalire la corrente.

E tu credi che i pesci siano consapevoli della propria morte?

Anche se non lo fossero, morirebbero comunque! Sin dalla nascita pende già sulle loro squame una dolorosa spada di Damocle. La loro sorte è già segnata.

Se ne sei così certo, osserva la trota laggiù. Quella gentile signora periodicamente si spinge sino a questa sponda del fiume ed educatamente si presenta. La sua meraviglia al mio cospetto non è diversa dalla tua, stimato sultano. L’unica differenza è che la trota non ha memoria. Ogni volta che per avventura si imbatte nella stazza del mio tronco, il suo sbalordimento è sempre nuovo.

Il sultano taceva pensoso.

Tu, è vero, puoi contare le volte che la trota si è affacciata per mirare la mia grandezza, ma questa informazione è vuota come la convinzione che i nostri giorni a questo mondo siano limitati.
Tu credi che ogni uomo prima o poi muoia, ma l’unica morte che tu puoi esperire è la tua, e essa è senza memoria.

D’accordo albero, forse non sei così stolto come presagivo e sono pronto a concederti il beneficio della dialettica, ma i tuoi sono solo sofismi. E’ vero che né l’uomo né la trota possono fare esperienza della propria morte, ma una volta giunta la fine termina anche ogni esperienza del mondo. Questo non puoi negarlo.

Sultano venerabile, inizio e fine sono categorie della memoria. L’impareggiabile logica umana insegna che ogni inizio è un prima e ogni fine un dopo. Come puoi ordinare due eventi di cui non serbi alcun ricordo? Scevro dall’inganno della memoria ogni tempo è infinito, perché invero ogni istante è nullo. Zero e Tutto sono, in fondo, l’unica e sola essenza dell’Uno.

Quando il sultano rientrò a casa era trascorso un anno in un solo giorno. Egli non ci badò, e visse in eterno.
La quercia mi spiegò che quel sultano non ha nome, poiché il nome è già una lapide.

Dedicato ad E. (1/2)

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