Perché sono diventato femminista

Perché sono diventato femminista

Perché sono diventato femminista?

Neppure un lustro fa ero persuaso da taluni convincimenti “tradizionalisti”.
Ritenevo che la donna dovesse tenere acceso il focolare domestico, restare a casa con la prole, fare la mamma e la moglie a tempo pieno.
Poi, come folgorato sulla via di Damasco, ho fatto inversione a U.
Il mutamento è stato repentino e indolore. Anzi, ha riempito il mio cuore di nuove consapevolezze.
L’esperienza ha un ruolo micidiale nella determinazione dei convincimenti di un individuo.
Dai tempi del liceo non persi mai occasione per lavorare. Il lavoro è una norma dell’emancipazione di un individuo. Non siamo particelle isolate, ma parti di un tutto, e come vado spesso ripetendo, l’Uno è più della somma delle sue parti. Nondimeno nella vita occorre equilibrio. Noi siamo Uno ma siamo pure uno.
Entrambi gli approcci, quello olistico e quello riduzionistico, meritano di passare al vaglio della ragione.
L’uomo, nel contesto della creazione, è un essente unico. René Guénon scriveva a proposito dell’uomo, che esso si colloca al centro della creazione. Secondo Guènon, l’uomo, nella sua condizione attuale, si trova al centro della gerarchia degli stati dell’essere, ossia in una posizione intermedia tra gli stati superiori (sovraindividuali) e gli stati inferiori (sub-individuali). L’uomo è collegato sia al mondo sensibile che a quello sovrasensibile e il suo compito è quello di superare la sua condizione limitata per elevarsi verso gli stati superiori.

Una nuova consapevolezza

La preziosa centralità dell’uomo si manifesta nella appartenenza coeva a stati sovraindividuali (olistici) e stati subindividuali (riduzionistici). La sua collocazione al centro degli eventi non è affatto casuale. La moderazione è la stella polare per qualunque processo di crescita spirituale. Qualsiasi spinta ascendente non può prescindere dalla sobrietà e dalla temperenza. In questo senso, la parola emancipazione non deve spaventare.

Amerai il prossimo tuo come te stesso non è un invito alla trascuratezza. Esso richiama piuttosto l’impellenza ad amare sé stessi prima di amare l’altro. Prima imparo ad amare me stesso, poi posso condividere la mia gioia col mio prossimo. Se non so amarmi, come posso amare il prossimo?
Ecco che sapersi emancipare, nel senso di astrarre (abstrahĕre), “trarre al di fuori” è la conditio sine qua non richiesta all’uopo di una consapevole reimmersione nell’Uno. Amore significa saldare le fratture, ricercare l’Uno al di fuori del bene e del male. Ciò richiede il sacrificio dell’io, poiché è necessario rinunciare a qualcosa di sé per partecipare al grande disegno divino.

Cavalcare la tigre

Il mondo della tradizione è finito. L’assetto sociale che per generazioni ha governato lo zeitgeist dei nostri avi, si è inceppato. Kaputt.
Se prima temevo che la donna potesse sfuggirmi, perché per sua natura ineffabile, oggi ho scelto di cavalcare la tigre, assecondare la sorgente. Io non ho bisogno di una donna, ben venga la presenza di una persona da amare, ma se questo deve comportare sacrifici e rischi potenziali maggiori dei vantaggi, io passo.
Abbracciare una prospettiva olistica, sciogliere il proprio io nella coppia piuttosto che nel mondo, significa dimenticare il monito delle parole del Cristo. Il sacrificio fine a sé stesso è vacuo se non esiziale; soltanto il sacrificio consapevole ha valore.

Ben venga allora il cambiamento.

Dominare il caos che si è, costringere il proprio caos a diventare forma: a diventare logico, semplice, univoco, matematica, legge: è questa, qui, la grande ambizione.

Viviamo coi piedi ben saldi per terra, o rischiamo di essere trascinati dalla marea! In un mondo che cambia, noi ci facciamo sentinelle del mondo nuovo. Costringersi nel perimetro di una vetustà ideologica è pericoloso. L’uomo coraggioso non teme di abbracciare il cambiamento, e il coraggio è la cifra dello spirito.

Perché il femminismo è il migliore alleato dell’uomo?

La risposta a questa semplice domanda è pure la risposta all’interrogativo “Perché sono diventato femminista?”

Nel corso di qualche decennio, gli impegni domestici, una volta ad appannaggio della donna, hanno subito una drastica riduzione.
L’introduzione di elettrodomestici di ogni sorta, la tecnologia, l’organizzazione degli spazi, hanno trasformato in scomodi contrattempi quelle attività che in passato colmavano di impegni l’intera giornata di una donna.
Inoltre, la massiccia presenza della componente femminile nella dimensione lavorativa, ha dimezzato i salari, un tempo calibrati perché “il padre di famiglia” potesse soddisfare le esigenze dell’intera famiglia nucleare.

Il femminismo impone alla donna di lavorare e all’uomo di contribuire alla gestione della casa.
Il femminismo impone alla donna di usare il proprio denaro e curare la propria indipendenza. Salvo che al primo appuntamento, vale il principio di reciprocità delle spese.
Il femminismo emancipa economicamente la donna che, al netto della sua ipergamia etologica, potrà selezionare un uomo che realmente giudica desiderabile, garantendo all’uomo la sincerità della scelta.

Cari uomini, mi spiegate in che misura il femminismo vi danneggerebbe?

Il femminismo è un enorme carabina puntata al cuore della donna, che essa stessa ha scelto di adoperare.

Offriamo loro tutto il potere del mondo, pretendiamo una vita domestica fatta di lavatrici e pranzi da cucinare! Lasciamo che siano loro a lavorare dalle 9 alle 11 ore al giorno in azienda! Non chiediamo alcuno stipendio. In caso di divorzio saremo garantiti da un cospicuo assegno di mantenimento.
Cedere il potere significa allontare da sé ogni responsabilità!

Il governo non fa per noi. Il potere è un accidente illusorio. Rinunciarvi significa crescere spiritualmente.
Il femminismo è un vantaggio per gli uomini.
Ecco perché sono diventato femminista.

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