L’ordalia del coraggio

L’ordalia del coraggio

Offro il mio scalpo
fanne tamburo
che risuoni la notte
e ridesti i sopiti spettri
che silenziosi muovono
gli appetiti della carne
rimbomba vibrante la pelle
annuncia lacrime di veleno
scirocco e maestrale
non placheranno le tue ire
soltanto l’odio cancella l’amore
e distende le rughe
dell’anima corrucciata
che sfida la ragione
per assecondare il cuore.

Uno studente modello

Pochi tra i miei recenti contatti sono a conoscenza di una singolare esperienza che mi capitò nel corso del quarto anno di scuola superiore.
A quei tempi ero rappresentante di istituto del mio liceo.
Era abitudine consolidata cercare scuse pretestuose per assentarsi da scuola.
In quell’anno facevo la conoscenza della rappresentante di istituto di un’altra scuola nella mia città, una ragazza affatto graziosa che non posso mancare di ricordare con simpatia.


Correva, se la memoria non mi inganna, il mese di Novembre.

In quei giorni avevamo già speso innumerevoli Jolly. Non si contavano più i pretestuosi scioperi e le insensate contestazioni che dagli esordi dell’anno avevano accompagnato la nostra permanenza a scuola. Il capofila dei masnadieri era naturalmente lo scrivente, forte della sua testa gloriosa e degli irriducibili condizionamenti della pletora di studenti che nella nullafacenza covava la propria ragion d’essere.

Nel disperato tentativo di raddrizzare un anno scolastico che prendeva una piega innegabilmente disastrosa, allarmati dal chiacchiericcio degli ingenui ragazzi, alcuni docenti informarono il preside dell’ennesima scorribanda in agenda.

Quella scorribanda è precisamente l’oggetto del racconto che segue.

Forte di un consenso quasi unanime tra i miei fedelissimi e profittando del sostegno esterno promessomi dalla bellissima M., mi accingevo a combinare l’ennesima assenza dell’anno, stavolta corredata da parata militare in strada sino alla pretura.

Non dire gatto…

Quella volta però le cose non andarono come previsto. A rompere le uova nel paniere ad una organizzazione impeccabile, fu l’imprevista controffensiva del preside, che stavolta sceglieva di usare l’artiglieria pesante. Il giorno che anticipava la nostra sfilata, diffuse una circolare che prometteva a tutti gli assenti ingiustificati del giorno seguente una sonora sospensione.

Inutile sottolineare che financo Scipione l’Africano avrebbe subito la caporetto che si apprestava a travolgerci.
Nonostante i mastini strategicamente piazzati allo scopo di incutere timore e pentimento nelle giovani matricole, il giorno seguente una quantità non trascurabile di studenti subì la fascinazione della ritrovata verve scolastica.

Fu una disfatta. Ci eravamo ridotti a meno di trecento fedelissimi, su un totale di oltre mille studenti.

Frattanto io non dimenticavo la lieta nuova del preside, sicché ero dinanzi ad una scelta: consegnare alla mercè del nemico i coraggiosi civili rimasti oppure assumermi la responsabilità del fallimento e morire insieme al pugno dei miei fedelissimi che mai avrebbe abbandonato la lotta.

Alcuni lustri dopo, un giovane Gauss stimò che i fedelissimi fossero tutti e soli gli studenti scientemente esposti al rischio dell’interrogazione

Il narratore onnisciente

Scelsi la via dell’infamia e salvai i miei colleghi.
Mille Austerlitz non fanno una Waterloo.
Ero chiaramente rassegnato alla gogna che mi avrebbe travolto.

Non appena l’ultimo studente ebbe varcato la soglia che tracciava il confine tra i servi e gli uomini liberi, un eco preannunciava la marcia degli Elfi. Erano i giovani studenti del Munari che ci raggiungevano. Come un giovane amante che manca al suo primo appuntamento, fu arduo trovare scuse con la bella M.
Nel mentre, i nostri alleati invadevano il largo cortile di ingresso alla scuola e intonavano la loro manifesta approvazione per la splendida sorpresa.

“Stolidi, stolidi”, ululavano gli alleati traditi

Parafrasi dell’autore

Morto un papa…

Nonostante il numero esiguo (o comunque di gran lunga inferiore a quello prospettato) serrammo i ranghi e raggiungemmo la nostra destinazione iniziale.
M. mi permise di arringare dal suo megafono.
Magra consolazione.

Prendete e mangiatene tutti

Il pomeriggio fu una bolgia. Sapevo bene a cosa andavo incontro. La mia scelta era più che ponderata, non ero un ingenuo e sapevo che l’opposizione sarebbe stata implacabile. Subii un processo ove io ero l’unico accusato sul tavolo degli imputati, costretto da solo a fronteggiare due capi di accusa antipodici.
Da alcuni ero tacciato del fallimento dell’operazione, da altri di averli rimandati in aula benché la manifestazione si fosse tenuta comunque.
I miei sostenitori accusavano il colpo e tacevano.

Epilogo e morale

Chiunque abbia mai gestito una protesta conosce le imprescindibili difficoltà connesse con l’organizzazione e la comunicazione. Coordinare mille giovane studenti, ciascuno con le proprie pulsioni, ansie e motivazioni è compito incredibilmente delicato. Quando si è responsabili delle sorti altrui, si è completamente soli al mondo. Non puoi discutere con la folla, devi scegliere. Fino a quando la decisione non è presa, il tuo capo è cinto a un tempo di alloro e abiezione. Quel giorno il destino scelse per me l’abiezione e saggiai la sconfitta.
Quella sconfitta era anche indistricabilmente legata alla vicenda del mio primo bacio, ma questa è un’altra storia.

Come ogni racconto che si rispetti, esso cela una morale.
La scelta giusta non è sempre la più conveniente. (Ricordate il vescovo Bienvenu?)
A volte, se si sceglie di operare il bene, è necessario preventivare l’altrui odio.


Cara E., è per te che scrivo. Odiami, disprezzami, violenta il ricordo che hai di me. Solo così potrai dirti libera dal mio spettro. Io scelgo di vivere in pena. L’abitudine mi ha temprato. Soffrirò io per entrambi.




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