Diario di un dodicenne che scopre il mondo
Quella che segue è una storia sconnessa, fatta di lunghe estati, teneri ricordi e promesse infrante.
A dodici anni non si è più infanti. Dodici anni è l’eta di Gavroche, l’eroico e sconsiderato figlio dei Thénardier che muore alla barricata della rue de la Chanvrerie poiché quello era il suo destino. Generato dalla strada sceglie di morire nel solo e unico posto che la sua giovane anima reclamasse.
Non ricordo di preciso il giorno in cui la conobbi, e certamente neanche lei.
Nei nostri ricordi, alcune persone appartengono a dei luoghi. Lei appartiene al soggiorno della casa di infanzia di mia cugina. Non riesco ad immaginarla in un altrove diverso. Lei è su quel divano. Era bionda e paffuta, ma io amavo il suo codino.
Quale bellezza.
La sua perfezione accendeva nei miei occhi la fiamma accecante che il sole al tramonto proietta sulla pelle dello spiaggiante. Io la miravo e me ne saziavo, ma dopo poco lo sguardo non bastava e l’incantesimo cessava.
La prima cotta è una esperienza taumaturgica. E’ il calcio della vita, la fine del bambino e l’esordio dell’uomo.
Non mi era naturalmente dato sfiorarla.
Ero un bambino ingenuo ed impacciato.
Avevo speso una dozzina di anni a convincermi di odiare le donne e in una frazione d’ora dovevo capitolare come una valanga che frani agli esordi di primavera?
Giammai.
Giammai
Tuonò il signor Giammai
Ma a chi la racconto?
Pensai un attimo dopo
E fu così che la caccia ebbe inizio (sì, caccia, con buona pace delle femministe).
Era solo questione di tempo, l’avrei conquistata. Bene, ma come si fa?
Scelsi di adottare l’unica strategia che mi venisse in mente.
Chi la dura la vince
Nei giorni che seguirono continuai a frequentare la casa di mia cugina (per lo scrivente era una radicata abitudine estiva). Ero felice di ritrovarla sempre lì, al suo posto, nel soggiorno della casa di infanzia di mia cugina. Alcuni giorni lei mancava; Mi angustiavo domandandomi dove fosse e se l’avessi mai rivista. Quando c’era la corteggiavo. L’atto del corteggiamento consisteva nella disciplina olimpionica del lancio del mollettone. Ove questo non fosse abbastanza – e di solito non lo era -, mi cimentavo in un free style di offese gratuite senza capo e senza corpo. Perché non capitolavi?
Ero l’unico a non vedere.
L’unico cieco dinanzi alla sconvolgete evidenza: tu eri già mia!
Tu sapevi già tutto, di te, di me.
Attendevi tacita e sorniona il tempo della resa, contando le ore in attesa della mia disfatta.
Cosa bramavo quando ti miravo?
Certamente non la carne, non quella carne almeno.
La voluttà di un bambino è nel tabù di un bacio o nel calore di un abbraccio.
Nell’estate che venne esordì una novità: la signora mollettona aveva comprato il Nintendo DS. E così anche mia cugina. Potevo essere da meno? Chiaramente no. Quell’anno le mortificazioni cambiarono volto, le offese verbali si tramutarono in sonore sconfitte inflitte tra una partita di Mario Kart e un’altra a Nintendogs. Essendo donne avevo vita facile.
Giunse quindi il tempo Animal Crossing: un videogioco il cui unico scopo consisteva nel demolire l’altrui villaggio piantare fiori e vendere rape.
Quel videogioco è tuttavia indistricabilmente connesso al penultimo ricordo che serbo di lei.
Era il giorno del mio onomastico. Correvano i meravigliosi anni in cui ogni ricorrenza era accompagnata da stuoli di parenti e amici venuti a porgere gli auguri e approfittare dell’occasione per riunire la famiglia. E’ appena il caso di sottolineare che quell’anno io aspettavo lei.
Dopo una estentuante attesa di cui contai financo i minuti, lei infine giunse.
Era naturalmente accompagna da mia cugina, la quale mi annunciò un doppio regalo: uno materiale, che mi porse nell’immediato, e un secondo presente che avrei ricevuto alla fine della serata. Il pensiero consisteva in un certo oggetto nel famoso gioco delle rape che sarebbe stata la musa in persona ad elargirmi. Non ero più nella pelle.
Sfortunatamente, quella sera i dolori di pancia non le consentirono di prolungare la sua permanenza e mia cugina dovette abbandonare prematuramente la festa per riaccompagnarla a casa.
Quella fu la sua prima promessa infranta.
Non seppi mai cosa avessero in serbo per me.
Volata l’estate, per una serie di indicibili vidende familiari, mi fu precluso di incontrare mia cugina per anni. Fu una grande pena per entrambi, nel mio caso doppiamente sofferta perché non ebbi più modo di incontrare lei.
Oramai eravamo entrambi sulla soglia dei quattordici. Internet andava diffondendosi rapidamente e con esso telefoni e messaggi.
Per qualche tempo ci scrivemmo. Amavo ricevere sue nuove.
Era brillante e riflessiva, sapeva sempre come meravigliarmi.
Col tempo il rapporto si raffreddò; la lontanza è la gelida culla di ogni passione.
Per almeno un lustro non mancò di scrivermi ad ogni ricorrenza, ma ero ormai fuori dal suo radar.
In quei gloriosi anni mi innamorai di un’altra ragazza, ma questa è un altra storia.
Superato quello scoglio, mi rimembrai di lei, ma il tempo ne aveva lavato via il ricordo, benché non la memoria. Lei non era più mia. Dopo qualche anno si fidanzò e anche io, ma mentre la mia storia si concludeva, la sua perdurava. Le feci promettere che quando fosse tornata libera (se mai ciò fosse occorso) avrebbe dovuto scrivermi.
Non avevo ancora ricevuto il sospirato bacio.
Lo promise ma dopo anni mancò la promessa.
Sic transit gloria mundi.
Benedico la tua felicità e ne faccio una chimera.
Nella prossima vita, saprò afferrarti prima che tu fugga.
Oggi il divano del soggiorno di infanzia di mia cugina non è vuoto, tu sei li e conti le ore, in attesa che ti afferri e baci infine le pazienti labbra della docile e innamorata bimba che eri.
Auf wiedersehen, F.