Perché la variante Delta contagia anche i vaccinati: un approccio con reti neurali
Cito un articolo dell’Adnkronos che testualmente riporta: – Variante Delta, Fauci: “Stesso livello virus in positivi vaccinati e non vaccinati” –
Non è mia abitudine parlare di concetti le cui teorie formali non pertengano al recinto delle mie competenze. Sotto alcune speciali premesse sento tuttavia di poter dire la mia.
La prima premessa attiene ad una clausola squisitamente formale: lascerò cadere la forma plurale per abbraciare una neutra prima persona singolare. Non si dà infatti il caso che il presente articolo tratti di verità tradizionali.
La seconda premessa è di carattere sostanziale. Sebbene l’ambiente medico non conosca la medesima alterigia di alcuni arroganti matematici, scelgo comunque di ripudiare ogni singola sillaba dell’analisi che mi appresto a sviluppare, così da poter cianciare liberamente senza alcuna costrizione teorica.
Il ruolo dell’intelligenza artificiale
Potete immaginare l’intelligenza artificiale come l’efficace tentativo di una macchina di classificare forme e oggetti. Scelgo di non trattare il dettaglio matematico, poiché la comprensione dei principi elementari della IA richiede un carico di teoria troppo gravoso, snaturando l’articolo dalla sua egoistica pretesa di spiegare le osservazioni sperimentali degli ultimi mesi.
Occorre tuttavia una veloce infarinatura sulla composizione procedurale di un algoritmo di IA.
Potete per semplicità immaginare il buco di una serratura. Il problema pone quanto segue: disponiamo di un numero teoricamente illimitato di chiavi senza denti e una fresa portatile. L’obiettivo è vìolare la serratura. Sappiamo che l’altezza dei denti varia nel continuo e che più ci avviciniamo alla soluzione più la serratura tenderà a scricchiolare sonoramente. Una rete neurale fornisce una potente procedura decisionale atta ad impiegare il minor numero possibile di lavorazioni prima di riuscire a produrre la chiave adatta. Esistono diverse strategie, tutte sostanzialmente ricorsive e implicanti algoritmi di retroazione. Il più significativo è noto come “stochastic gradient descent”, esistono tuttavia procedure altrettanto valide che fanno uso di concetti di genetica e selezione naturale. Quale che sia la procedura che scegliete di implementare, la vostra IA, se ben programmata, riuscirà a individuare per voi in breve tempo la chiave adatta per quella toppa.
Encefali e anticorpi
A questo punto entriamo in una giungla senza navigatore. L’unica via è dettata dall’intuito.
A mio modestissimo parere, sebbene non esista un isomorfismo perfetto tra i due sistemi, ritengo che il cervello, nella sua ordinaria attività di elaborazione delle immagini, faccia uso di un algoritmo più simile alla stochastic gradient descent. Il sistema immunitario è al contrario più simile ad un algoritmo di selezione naturale. La sostanza non cambia: esistono sempre una procedura di retroazione e una intelligenza artificiale.
L’obiettivo è autoevidente: riconoscere oggetti.
L’encefalo riconosce immagini, suoni, rumori, mentre il sistema immunitario riconosce corpuscoli microscopici.
Nel deep learning
Ecco come ritengo che l’organismo riesca ad addestrare i suoi anticorpi.
Devono esistere certamente tre elementi: la chiave, la toppa e la fresa portatile per lavorare la chiave. Meglio ancora se una intera stazione di lavoro.
La stazione di lavoro è probabilmente una cellula che ha memoria dell’ultimo anticorpo creato e può, se occorre, assemblarlo nuovamente.
La chiave è evidentemente l’anticorpo mentre il virus è la toppa.
Devono accadere le successive due cose affinchè le mie considerazioni siano applicabili e non totalmente rigettabili.
- Condizione numero 1: l’anticorpo, riconosciuto il nuovo antigene, riesce a fornire una risposta all’organismo circa l’affinità elettronica che questi possiede in relazione al corpo estraneo.
- Condizione numero 2: l’organismo può assecondare l’informazione per l’addestramento di nuovi anticorpi: simili al precedente se la risposta dell’anticorpo fosse positiva, totalmente dissimili se l’affinità con l’antigene fosse stata nulla o comunque inferiore a quella già sviluppata.
La clausola “già sviluppata” reclama il concetto di recursione sul decorso dei valori, parte integranti della grande maggioranza degli algoritmi di intelligenza artificiale, specie quelli genetici.
Ciò che infine dovrebbe accadere è che, dato un tempo sufficientemente lungo, l’organismo avrà “addestrato” un esercito di anticorpi estremamente specializzati nella faida al nemico invasore. Il vaccino ha esattamente questa funzione, garantire all’organismo tutto il tempo di cui necessità per addestrare la propria speciale rete neurale per il riconoscimento del virus in quanto l’agente patogeno è disattivato o totalmente assente e non può nuocere all’organismo.
Le varianti
Sin qui tutto bene: gli anticorpi sono sufficientemente addestrati per affrontare e sconfiggere immediatamente ogni incursione nemica. Si pone tuttavia il problema della mutevolezza del virus. In maniera totalmente casuale, la conformazione geometrica del virus può subire variazioni. Se gli anticorpi avevano imparato a riconsocere un bicchiere e in luogo del bicchiere si presenta una pantera, questi sono disarmati.
Ipotesi: le mutazioni procedono per piccole variazioni.
Ciò si traduce nella incoraggiante impossibilità per il virus (che prima rassomigliava ad un bicchiere) di mutare in una pantera. Potrà cambiare forma in una ciotola, ma tutto sommato esso seguiterà ad essere riconoscibile dall’organismo. Esiste una certa somiglianza con la sua versione meno aggiornata. Un po’ come Windows Vista, era un vespasiano a tale restava ad ogni aggiornamento; mutava solo la frequenza dei blue screen.
Bitte vorsicht.
Attenzione alla fraseologia che ho selezionato. “Esso seguiterà ad essere riconoscibile dall’organismo“. Questo implica che a seguito di una mutazione, gli anticorpi superspecifici, quelli cioè che riuscivano ad aprire la serratura col minimo sforzo, non sono più adatti. Probabilmente la loro efficacia specifica contro il virus si è ridotta drasticamente. Sono oramai inservibili. Cionondimeno ci viene in soccorso il restante patrimonio anticorpale che frattanto l’organismo aveva sviluppato. Gli anticorpi sono come il maiale, non si butta niente. A mano a mano che l’organismo affilava gli artigli contro il virus, costruiva anticorpi sempre più specifici. Esso tuttavia non gettava alle ortiche tutti prototipi intermedi.
Quei prototipi infatti erano esempi di anticorpi più indifferenziati ma non l’anticorpo eletto. In un certo senso, l’organismo registra in sé l’idea di anticorpo contro il Covid19. Quandanche il virus dovesse mutare, avrebbe comunque un’ottima base di partenza in quanto comincerebbe a selezionare da una soglia di affinità elettronica già accettabile.
Per concludere…
Questo è il motivo per cui la variante Delta del covid19 infetta ma non risulta letale.
In una prima fase questa prevale, in quanto l’organismo non riesce a debellarla totalmente. Qualche anticorpo si lega, qualcun’altro no. Prima che si sviluppi una reazione severa l’organismo, quantomeno nei soggetti sani, riesce a prevalere sull’antigene e lo schiaccia.
Ecco perché, a mio opinabile giudizio, l’infezione da variante Delta non dovrebbe spaventare.
Terza dose?
La terza dose, soprattutto se il vaccino non sarà stato ingegnerizzato per adattarsi alle nuove varianti, servirà all’organismo come stimolo per produrre una maggiore quantità di anticorpi, ma qualitativamente non cambierà nulla.
La farei? Chi sono io per dirlo? C’è probabilmente fuori dal mio studio una intera comunità medica che legge le mie farneticazioni e ride di gusto.
La scienza è metodica. Attendiamo i dati israeliani e lasciamo stabilire agli addetti ai lavori cosa sia meglio per noi. La terza dose probabilmente rafforzerà ulteriormente la protezione, sebbene non sia lecito aspettarsi grossi miracoli per ovvie ragioni matematiche.
Amici svaccinati, non c’è nessun gombloddo.
Fatevi coraggio e correte a vaccinarvi.