Gli anni del wrestling
Gli anni del wrestling in Italia denotano un periodo storico oscillante tra il 2003 e il 2006.
Questa mattina mi imbatto in un articolo nostalgia su quelli che a giusto titolo posso indiziare come i migliori anni della mia vita.
Un lasso di tempo compreso tra i miei 8 – 12 anni dove la vita scorreva come se il futuro fosse lontano e le amicizie fossero tutto ciò che contava.
Non sono sempre stato così, riflessivo, distaccato, avido lettore e consumatore di contenuti iperselezionati.
La mia infanzia fu esplosiva. Ero dinamico, amavo la compagnia, il gioco, le amicizie.
Uno dei miei primi amici “del cuore” lo conobbi alla tenera età di sei anni.
A quel tempo il parco nel quale attualmente risiedo era ancora in costruzione, un cantiere aperto.
Ricordo, ma occorrerebbe qualche spunto ipermnestico per fissare al meglio le memorie, che tornando a casa in auto mi accorsi di una piccola comunità di bimbi, tutti mediamente più grandi di me, intenti a giochicchiare nel cortile comune. Timidamente (ma neanche troppo) mi unii alla paranza.
Stavano per cominciare gli anni più allucinanti della mia vita.
L’ossessione per la compagnia e il valore dell’amicizia
Ben presto si diffuse l’usanza di citofonarsi. Alle 15 in punto (e alle 8 in estate) qualcuno (generalmente io) scendeva di casa e consumava i citofoni.
***DRIIIN***
Ciao sono Salvatore, c’è tizio e cazio?
A quel punto le alternative erano due: un sì o un no.
Come per il gatto di Schrödinger, non mi era dato sapere se quel pomeriggio avrei giocato fintantoché non lo avessi misurato con una bussata.
Non comprendevo risposte del tipo “No, xyz deve studiare, non può scendere”, dacché io non sapevo cosa fosse lo studio. Non riuscivo a concepirlo. La scuola era un accidente temporale tra il risveglio e il divertimento.
Ricordo che addirittura formai una specie di superstizione. C’era una piccola scrostatura di vernice sotto la cabina dei citofoni del mio amichetto preferito. Se dopo aver bussato avessi toccato quel centimetro quadrato di stucco sverniciato, il gioco sarebbe stato assicurato.
Quando non c’erano gli amici chiamavo i cugini, quando non c’erano i cugini frignavo in casa lamentando a voce alta l’assenza di attività “non so che fare, non faccio mai niente”. Ero già una drama queen.
Un bambino di poche pretese
Due erano le attività prevelanti nel parco. Calcio e nascondino.
Sarei andato avanti per ore.
Talvolta ci riunivamo a casa di qualcuno per giocare alla Playstation o al Monopoli.
A quest’ultimo vincevo sempre io perché, nonostante gli altri fossero anche di anni più grandi di me, faticavano a comprendere che la strategia per vincere fosse spendere tutto il denaro possibile nelle prime battute. Spesso e volentieri, per rendere il gioco meno monotono, inventavo regole astruse da tutti accolte senza fiatare. Ero il leader intellettuale della tribù. Questo alle medie ebbe a crearmi non pochi problemi, perché ero da sempre abituato a comandare.
Finalmente gli anni del Wrestling
All’improvviso vengo messo a parte da qualcuno dell’esistenza del Wrestling. Lo trasmettono in TV. La violenza controllata, il ring, le maschere, il commento di Ciccio Valenti e Chris Recalcati, tutto contribuiva ad assuefarmi alla disciplina. Iniziammo a praticare il Wrestling nel parco, creando dei ring di fortuna. Ci lanciavamo a terra sull’asfalto rientrano a casa pieni di lividi. Eravamo abituati ad azzuffarci per davvero, io in particolar modo, non potevamo indi ravvisare alcunché di scandaloso nel farlo per finta.
Il sabato sera era una festa. Tornavo a casa esausto dalle interminabili giocate a pallone e sapevo che Smack down era lì, pronto a sollazzare le mie fantasie da bambino.
La fine di un’epoca
Un brutto mattino di seconda media, mentre con gli amici di sempre mi avviavo a piedi a scuola, uno di questi mi comunicò la morte di Eddie Guerrero. Mi si gelò il sangue.
Eddie Guerrero e Rey Mysterio incarnavano ciò che per me voleva dire l’amicizia. La lealtà, la fermezza d’animo, la pace dopo la tempesta.
Fu così che la mia infanzia terminò.
Non potevo saperlo, ma questo evento che pose fine alle trasmissioni di Smack down su Italia 1 mi stava traghettando verso l’adolescenza. Una adolescenza non semplice.
Coevo a tutto ciò, debbo registrare il mio primo violento innamoramento, un amore impetuoso per una ragazzina di nome Carmen. Ma questa è un’altra storia.
C’è sempre un’ultima volta
Volgendo lo sguardo al passato, mi rendo conto che deve esserci stato un giorno in cui per l’ultima volta abbiamo giocato tutti quanti insieme. Un ultimo calcio al pallone, un’ultima tana salva tutti. Un’ultima risata che il buon Dio ci ha concessi prima che la vita ci presentasse il conto. Non lo sapevo, ma dopo quel giorno ci saremmo limitati a dei semplici “ciao” o a delle brevi chiacchiere dense di nostalgia.
Ho perso molti dei miei più cari amici.
Sono facile al commovimento.
Gli anni del wrestling sono finiti da un pezzo, ma nel mio cuore malconcio continuano ancora e ancora.
Scelgo di dedicare questo articolo a due amici che non ci sono più, due amici coi quali ho combattuto per finta e per davvero.
Giuseppe e Remigio, che sono certo un giorno incontrerò di nuovo, per giocare a nascondino o calciare un’altra volta un pallone trovatello, prima di essere chiamato dalla mia amata mamma per la cena.
E quella volta durerà per sempre!