L’uomo custode dell’Essere

L’uomo custode dell’Essere

L’uomo custode dell’Essere è forse il concetto più enigmatico del pensiero Heideggeriano.
Non che il filosofo sia criptico, ma la filosofia, come tutto quanto a questo mondo vi è di profondo, merita di essere corteggiata e meditata. Allo stesso modo l’Essere vuole che lo si attenda, secondo i suoi tempi, senza coercizioni.

«l’uomo deve farsi custode dell’Essere nel senso di attenderlo e porsi nell’ascolto della sua parola. L’essere parla attraverso la parola poetica che è portatrice di civiltà e cultura.»

Martin Heidegger [qui per approfondire]

D’impatto, un asserto del genere può sembrare spiazzante. Cosa diavolo vorrà significare che l’uomo deve custodire e attendere l’Essere? E perché mai l’essere dovrebbe parlare attraverso la poesia?
Tutti dubbi legittimi, che nel seguito tenterò di fugare.

Occorre anzitutto un garbato richiamo all’io. L’io è un oggetto non definibile ma che, un po’ per comodità, un po’ per barbarie intellettuale, possiamo giustapporre alla volontà di proiezione umana. Il desiderio di prevedere, che poi si sostanzia nelle scenze fisico-matematiche, ha nell’io i suoi strumenti privilegati. Detto desiderio si sostanzia quindi nella volontà di accumulo, allo scopo di governare la natura e de-terminare il corso degli eventi.

Se è chiaro (all’incirca) cosa intendo per io, sarà altrettanto evidente che l’unica categoria oggi realmente percepita dall’uomo (e io non mi escludo dal novero) è l’utile. Qualcosa ha senso perché è to-agathon, atta a, utile a

Utile a cosa?

La succitata utilità non dispone tuttavia di un obiettivo altro che se stessa.
Del resto, qualunque velleità umana moderna è votata alla volontà di accumulo, la quale è a sua volta uno strumento dell’io avente l’uopo di giustificare e potenziare la propria volontà di potenza.
Wille zur macht (volontà di potenza) che in sé racchiude il proprio senso.
Una semantica di completo auto-accrescimento che non si apre alla manifestazione, possedendo già in sé fine e ragione. L’utile è ciò che in teoria dei sistemi è un meccanismo di retroazione positiva. Scavalcando le pretese ingegneristiche, un circolo vizioso.

La ragione dell’io è pertanto una ragione finalistica, orientata al soddisfacimento edonistico dei propri piaceri. Essa è tuttavia cieca all’Evento (Ereignis), poiché nel tentativo di domarlo allo scopo di poterlo pre-vedere (vorhersehen) si priva della sua reale manifestazione. La ragione dell’io è pertanto dettata dal pregiudizio dell’uomo. L’ente è soggiogato all’io. L’uomo è condannato a guardare senza vedere, ascoltare senza sentire. La realtà e la sua ermeneutica sono piegate al piglio interpretativo dell’io.

La parola dell’Essere

La parola dell’Essere non può essere dunque entificata, poiché l’ente è per definizione piegato al giogo dell’io. Hiedegger suggerisce di adoperare un linguaggio nuovo, scevro dalle precostruzioni dell’io. Un simile linguaggio non sarà tuttavia accessibile all’uomo moderno, la cui costituzione intellettuale è tale da impedirgli di affrancarsi dalla propria volontà di potenza. L’unica possibilità per l’uomo è un linguaggio di frontiera che conturbi l’io e ne eclissi i propositi. Soltanto similmente l’Essere può manifestarsi e meravigliare l’uomo. La proposta di Heidegger è di sostituire il linguaggio calcolante col linguaggio poetante. La poesia meraviglia l’uomo perché declina il principio di non contraddizione. La dualità collassa e la coscienza incontra l’Evento.

La veglia dell’uomo

Compito dell’uomo è di farsi custode dell’essere. Egli deve vegliare affinché l’essere possa manifestarsi. Vegliare significa imporsi la veglia, non cedere ai seducenti richiami dell’io. Quando siamo mossi dall’io, la nostra coscienza è letargica, difatti a causa della volontà anticipatoria dell’io non percepiamo mai la cosa nella sua totalità. Nella migliore delle ipotesi la conosciamo per prospettive ed adombramenti, nella peggiore semplicemente non vediamo, poiché la manifestazione che filtriamo è quella contaminata dalle violente categorie dell’io. In questo senso l’uomo deve custodire l’essere.

L’ultima scena

La custodia è tuttavia anche un richiamo all’ultima scena. L’uomo è custode dell’Essere perché occorre un osservatore che sia ultimo rispetto all’Evento. Cosa vuol dire ultimo rispetto all’evento?

Ebbene, la logica dell’io ipostatizza una realtà prendente forma da una successione discreta di cause ed effetti che, a annidandosi a cascata, producono infine un certo fenomeno. L’unico anello della successione libero dalle audaci velleità della scienza è però, rullo di tamburi, il fenomeno stesso! L’uomo è testimone di un vissuto psichico che però non può comunicare all’esterno. Avete mai comunicato a qualcuno il colore rosso? L’unica possibilità è di intrecciarlo in una relazione, nella speranza che l’altro ne ricavi il nostro medesimo vissuto. L’uomo è pertanto custode, poiché anche volendo, non ha altra scelta! L’Evento si dona a lui e a lui soltanto, e non vi è verso che questi possa rifiutare quel dono.

L’Essere come attesa

L’uomo può anche liberarsi dell’attesa dell’Essere. Può farlo violando le proprie categorie e superando l’io. Non dovrà pertanto attendere il mondo propizio per una incursione nell’Essere. Sciogliendo infatti l’io, potrà trascendere il proprio stato e divenire Uno.

Quando ancora esistevano veri maestri, l’iniziazione era uno strumento atto a vìolare l’attesa dell’Essere.
Oggi, le uniche armi a disposizione dell’uomo sono la poesia e la preghiera. Che poi sono lo stesso.

Penso di avere già condiviso questo brano, ma riproporlo non guasta.

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