Quei nazisti principianti non conoscevano i complotti
Quei nazisti principianti non conoscevano i complotti.
Nell’immaginario collettivo di un mondo atlantizzato, quando la rassegnazione di essere colonia non abitava ancora le consapevolezze degli italiani, i maestri della censura erano quei cattivoni dei nazisti.
I protocomplottisti (che nell’accezione contemporanea traduce “i dissenzienti”) già vociavano di neocolonialismo, guerre, banche e qualcuno più ardito persino di big pharma. Il potere mediatico a quei tempi non aveva ancora alzato le barricate contro il dissenso, poiché erano gli stessi dissenzienti a dileggiare il pensiero dissonante, avendo la massima cura di infarcire il loro pacchetto di verità preconfezionate con valvole di igino, alienoidi e massoni vampiri.
Vox populi, vox dei
Le massime autorità del complotto gareggiavano a chi la sparasse più grossa. Eppure, in quel nebuloso groviglio di assurde certezze fatte passare per verità incrollabili, abitava anche un nucleo di proposizioni affatto degne di nota. Chi gradisse offrire al curioso asserto una interpretazione analitica avrebbe gioco facile, fondando le scienze statistiche la propria gnosi sulla legge dei grandi numeri.
Con ancora maggiore eleganza, un logico matematico potrebbe sentenziare: ex falso seguitur quodlibet.
Tutte argomentazioni valide, ma io ne propongo un’altra.
Il complotto è l’attualizzazione della massima latina “vox populi, vox dei”.
Sia che a foraggiare il popolo di nuove idee sia il Dio vivente, sia che tale cernita pertenga a complessi meccanismi di selezione Darwiniana del pensiero, è un fatto che la saggezza popolare contribuisca alla conservazione dello status quo, garantendo una magistrale inerzia alle velleitare accelerazioni del progresso.
Non ho mai dubitato che come tutte le leggende, anche i complotti esibissero un fondo di verità.
Verità e certezze
Non è questa la sede per discettare sulla differenza ontologica tra verità e certezza. Si rimanda per questo all’ottimo Emanuele Severino. In questa sede desideriamo più umilmente tratteggiare gli attribuiti comuni a ogni dittatura. Il tratto più tiranneggiante è certamente la crasi semantica dei due concetti, allo scopo neanche troppo velato di dedurne una pedagogia di stato. Verità e certezza collassano in una nuova categoria ontologica, non troppo dissimile dal sommo bene platonico.
Complotti e verità di stato
Oggi si apre uno scenario inedito sulla funzione sociale del complotto.
Il complotto diviene l’arma per giustificare l’imposizione di verità di stato.
Per essere più chiari, oggi il dissenso dalla vulgata del mainstream è etichettato come complotto.
Mutatis mutandis, il complottista seguita a serbare l’illustre epiteto di invasato.
Invito tuttavia i lettori a riflettere sul valore delle parole che seguono.
E’ fatto acclarato che non esistano verità assolute. Le scienze economiche, quelle giuridiche e financo quelle mediche sono soggette alla pulsazione delle masse, le quali, potendosi ammantare a pieno titolo di costituire sistemi complessi, sfuggono alle inflessibili leggi della matematica.
Chi, dunque, arroga ai governanti la pretesa di stabilire cosa è meglio per le messe?
Che fine ha fatto la massima Voltairiana “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu lo possa dire”?
Paradosso dei paradossi, sono proprio i sedicenti uomini di scienza ad avallare le nuove dittature, in barba a due secoli di sgargianti prloclami illuministici.
Paradosso nel paradosso, le cosiddette istituzioni oscurantiste, dal cristianesimo all’Islam, al netto della loro secolare decadenza, sono le uniche che coraggiosamente paiono serbare un germe di decenza intellettuale in strenua opposizione al radicalismo scientista dominante.
Quasi sembra che la scienza abbia più assiomi della religione.
Herr Hitler e quei nazisti principianti della Sturmabteilung in confronto erano poveri dilettanti allo sbaraglio.