Essere Tre per non essere nulla
Essere Tre per non essere nulla.
Quella che segue non è teologia.
Il più dissacrante degli appunti alla Chiesa è posto in essere da Nietzsche, il quale decostruiva la teologia cristiana. L’accusa che Nietzsche muoveva alla Chiesa si attestava intorno alla presunta coresponsabilità nella edificazione delle discipline morali. Il Dio cristiano sarebbe infatti uno scimmiottamento del To Agathon platonico, la cui infelice traduzione lo ha portato ad appiattirsi sull’idea del bene sommo. Heidegger approfondisce il pensiero Nietzschiano, offrendo una differente semantica interpretativa. Il bene supremo vorrebbe infatti esprimere una relazione di funzionalità (si rimanda all’ottimo Galiberti). Essere funzionale significa essere “buono a”, “utile a”, denunciando un palese principio di causalità. Una causalità di cui i padri della chiesa non fanno affatto mistero (vedi Fusaro).
La teologia ecclesiastica è una teoria solida e rigorosa, i cui assiomi sono i dogmi di fede. Nella sua impeccabilità formale essa però serba l’insidioso germe della volontà di potenza. La volontà di potenza è la volontà di proiezione, che placa l’animo umano mettendolo a riparo dal divenire. Il thaumaston, il sommo sgomento, si lascia irretire nella gabbia dell’io, che assegna un nome alle cose e le conduce a più miti consigli.
Dio al guinzaglio
Affinché ciò possa occorrere è però necessario che l’uomo addomestichi il più ingovernabile degli essenti. Questi, dopo aver nomato le cose del mondo su invito di Yahweh, noma infine anche il suo creatore, commettendo il peccato originale e mangiando il frutto della conoscenza. Una conoscenza che tuttavia esclude l’ignoto e sceglie di conformarsi alla mondanità e alle cose della carne, rinunciando agli ingovernabili richiami dello spirito.
In questo senso, il pensiero cristiano è il prometeico precursore della tecnica. Essa non poteva che finire divorata dalla sua stessa creatura, contemplando inerme i dogmi sempre più violenti che la tecnica a sé avoca. La deriva della chiesa si è fatta manifesta durante la recente pandemia di COVID19, nella sua deroga ai principi dello spirito in ragione della salvezza della carne. Tale rovesciamento dottrinale ha solo certificato un processo di liquefazione teologica che, lungi dall’essere di recente germinazione, affonda le proprie radici a cavallo tra le due rivoluzioni scientifiche.
E’ il tramonto di Cristo?
La Chiesa è dunque a un bivio storico. Può scegliere se continuare ad essere la copia sbiadita della scienza e celebrare così le proprie esequie. In alternativa può cercare di comprendere realmente il grande dono di cui essa è guardia, meditando il santo mistero della Trinità.
Padre, figlio e spirito Santo
René Guénon, negli stati molteplici dell’essere, attesta l’esistenza di stati molteplici dell’essere. Abbiamo su questo blog già raccontato della dottrina di Guénon. Nel video che segue (il potere del verbo) troverete alcuni spunti interessanti.
Nella nostra personale interpretazione, senza che questo voglia farsi dogma di fede, Padre, Figlio e Spirito Santo sembrano trovare aulica rappresentazione nella dottrina degli stati dell’essere.
Il Figlio, incarnazione dell’amore del Padre, giace con la sua carne viva negli stati grossolani.
Gli stati sottili sono di pertinenza del Padre, che è Verbo e quindi scevro dai lacciuoli del principio di non contraddizione.
Negli stati informali alberga infine lo Spirito Santo, la cui essenza non può essere irretita né dal nome né dal verbo.
E’ tuttavia proprio nella Trinità che la chiesa può recuperare la propria forza dottrinale.
La Trinità è infatti la nemesi logica della tecnica.
La tecnica è sintassi espunta da ogni contenuto semantico, mera elaborazione dattilografica. La tecnica non può accettare l’irrazionale, poiché l’unica ragione che essa conosce è l’indefinito arricchimetno di sé stessa. Ogni spunto di irrazionalità è soltanto un vulnus nel sistema in attesa di essere addomesticato (vedi Popper) e inglobato con una diversa scala nella propria dimensione di razionale e indefinito accrescimento.
Cristo insegna ad opporsi. Egli non rigetta la razionalità, né insegna la follia. Egli si offre come perfetta sinstesi tra le due dimensioni.
Nella trinità, tutti gli stati dell’essere partecipano nella giusta misura, mentre la tecnica accetta di contemplare solo quanto è sotto il giogo del nome. L’amore che Dio insegna è apertura ai misteri del Sacro, apertura che nessuna scienza potrebbe permettersi senza collassare. In ciò si manifesta la differenza tra l’uomo e la macchina. L’uomo, generato ad immaginare e somiglianza del creatore, è egli stesso trinità. Egli vive a un tempo nella carne, nell’anima e nello spirito. Questo gli consente di pensare senza scandalo a una proposizione e alla sua negazione logica senza per questo collassare, come accadrebbe ad un automa.
Cionondimeno, non appena prova a esprimere la sua legittima irrazionalità, le parole di cui dispone per comunicare sono già irrimediabilmente contaminate dalla causalità sottostante al principio di non contraddizione.
Il destino della chiesa è quello già proposto da Heidegger per l’uomo che sceglie di non piegarsi: la sposa di Cristo deve vincere la tecnica inventando un nuovo linguaggio. Nel Kali Yuga non si pretende che questa torni a parlare la lingua degli uccelli, ma se non tenterà quantomeno di recuperare il potere che il Verbo le ha concesso riservandosi di avere ragione sulla scienza non per giudizio ma per verità rivelata, la sua sorte è già segnata.
Nemmeno deve però commettere l’errore di incespicare nell’insidioso terreno della logica scientifica, perché il diavolo è principe di questo mondo. Ben venga la teologia, ma si abbia il coraggio di scoperchiare uno spiraglio sull’Essere, affinché la luce dello Spirito sciolga l’illusione scientista.
Essere veglia nel sonno, luce nel buio, pazzi nella ragione. E’ questo, d’altro canto, il più prezioso degli insegnamenti di Cristo.