Quel nulla di ente

Quel nulla di ente

Nessun allievo sceglie i suoi maestri, l’angelo di Dio semina là dove i fertili cuori possano fare del seme un albero, del filo una paranza.

Oggi ho perduto il secondo dei miei maestri.
Non esiste fine, perché il nulla val nulla e l’ente va al niente.
Il Dio vivente raccoglie l’uomo al suo crepuscolo e lo delizia dei doni proibiti che stanno là dove lo zero è uno e l’uno è tutto.
Dolce è la fine del giusto.


Io eredito il tuo sapere, la tua entelechia.
Tu restasti perché io potessi venire.
Questo è il Kyklos che l’Essere ti diede in sorte,
adesso pensa con cento menti e ascolta con mille occhi.

Ma cosa fai? Ma cosa dici?

Oggigiorno si raccontano molte sciocchezze a proposito dei maestri e dei discepoli, e dell’insegnamento che
il maestro lascia in eredità agli allievi prediletti, autorizzati così a trasmettere la verità ai propri seguaci.
Naturalmente lo Zen dovrebbe essere comunicato in questo modo, da cuore a cuore, e in passato avveniva
proprio così. Regnavano il silenzio e l’umiltà, non l’asserzione e la dichiarazione. Chi riceveva un simile
insegnamento teneva segreta la cosa persino dopo vent’anni. Finché un altro, spinto dal proprio bisogno
non scopriva che era disponibile un vero maestro, nessuno sapeva che l’insegnamento era stato impartito,
e anche allora l’occasione si presentava in modo del tutto naturale, e l’insegnamento si faceva strada da sé.
In nessun caso l’insegnante avrebbe dichiarato: «Io sono il successore del tale». Questa asserzione avrebbe
dimostrato proprio il contrario.
Il maestro di Zen Mu-nan ebbe un solo successore. Il suo nome era Shoju. Quando Shoju ebbe compiuto i
suoi studi di Zen, Mu-nan lo chiamò nella propria stanza. «Sto diventando vecchio,» disse «e a quanto ne so
io, Shoju, tu sei l’unico che continuerai questo insegnamento. Qui c’è un libro. E’ stato tramandato da
maestro a maestro per sette generazioni. Anch’io vi ho fatto molte aggiunte secondo il mio criterio. Il libro
è molto prezioso e io te lo do come simbolo della tua successione».
«Se questo libro è una cosa tanto importante, faresti meglio a tenertelo» rispose Shoju. «Io ho ricevuto il
tuo Zen senza scritti, e mi sta bene così com’è».
«Lo so» disse Mu-nan. «Tuttavia, sono sette generazioni che quest’opera passa da un maestro all’altro, così
puoi conservarlo come segno che hai ricevuto l’insegnamento. Tieni».
I due stavano parlando davanti a un braciere. Non appena Shoju ebbe il libro tra le mani lo gettò sui carboni
accesi. Non aveva nessun desiderio di possedere qualcosa.
Mu-nan, che sino a quel momento non era mai andato in collera. strillò: «Ma che cosa fai!». Shoju gridò di
rimando: «Ma che cosa dici!».

C.D.M.,
P.!

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