Le palle di Hume – à vol d’oiseau –
La moderna epistemologia deve molto, se non tutto, al raffinato contributo di tre giganti del pensiero.
L’impalcatura del metodo scientifico vincola il proprio fondamento ontologico alla risolutiva cesura Kantiana tra fenomeno e noumeno. Il noumeno, anche inteso come cosa in sé, è quell’ente cui si rinvia alla fideistica esistenza senza poterne definire i confini. Il noumeno è ἀόριστος, dacché lascia all’incertezza e all’indeterminazione ogni accidente. Heidegger, sulla scia di Hegel prima e Husserl poi, assume l’Essere (Das Sein) come principio primo. Come in Kant, anche Heidegger richiedere che affinché l’essente sia, esso sia partecipato dall’Essere. Questa considerazione origina dalla distinzione aristotelica, poi ereditata da Tommaso d’Acquino, tra essenza ed esistenza.
Mentre l’essenza è il ti estì dell’essente, gli attributi della sub-stanza, ciò che Hume prova a descrivere ontologicamente col suo fascio di predicati, l’esistenza è invece la categoria dell’Esserci. – Si è – (Man ist, Etwas ist, Jemanden ist) perché si è partecipati dell’Essere. Esserci (Da sein per Heiddeger) è effetto della più larga causa efficiente che è l’Essere. Quell’Essere inviolabile la cui manifestazione è libera perché ápeiron – o periecontologica – per dirla alla Jaspers. Solo le forme d’arte, prima tra tutte la poesia, raccolgono (sammelten) frammenti dell’Uno e lo presentano (vor-stellen) al tribunale dell’io.
Emanuele Severino riconosce tanto nell’Essere Heideggeriano quanto nel noumeno Kantiano due forme di episteme. Egli denuncia inoltre l’assurdo logico per cui un essente possa oscillare tra l’Essere (l’Essenza) e il non Essere. Severino cancella con un tratto di penna la categoria della causalità concedendo largo spazio ad un neoparmenidismo de facto.
Non esistono fatti ma solo interpretazioni e ogni interpretazione è un atto di Volontà (Nietzsche)
Il principio di causalità non esiste, le palle di Hume docent.
Medicine, miracoli e magie – à vol d’oiseau –
Sempre a volo d’uccello, entriamo nel vivo della questione.
Il dott. Tommaso Esposito, persona di grande dignità e sensibilità umana, oltreché medico è anche antropologo ad honoris causa. Se non de jure, quantomeno de facto. Venerdì 19 Aprile presenta l’ultima fatica letteraria presso il castello dei conti di Acerra, in una sala gremita di curiosi.
Il suo libro è essenzialmente un manuale di etnoiatria scientifica, enunciato che al lettore accorto può apparire affatto ossimorico. Senonché, un’attenta lettura del testo scioglie ogni apparente contraddizione.
Sono riportati con studiato dettaglio fatti di morbosità (psichiche e somatiche) e relative cure popolari della città di Napoli e provincia. A modesto parere dello scrivente, tranne per qualche rara eccezione, siffatto studio può ammantarsi di una validità quasi regionale data la scarsa distribuzione etnogenetica del popolo campano (in senso Gaussiano).
Non possedendo competenze specifiche per operare aggiunte di carattere sociologico al testo, dacché scarso conoscitore della realtà locale, ne azzarderò una reinterpretazione in chiave filosofica (indi si è resa necessaria la lunga premessa epistemologica di cui sopra).
La tesi di chi scrive è che tanto la scienza empirica medica, quanto l’euristica popolare, sono due forme di fede la cui efficacia è regolata non già dagli effetti del medicinale, quanto nella archetipica fiducia negli stessi.
Due facce della stessa medaglia
Procediamo con ordine. Tanto la cura popolare quanto quella “culta” affidano la propria speranza (nel senso di previsione statistica del risultato) ad un principio causale. Per il contadino, la morbosità è imputabile a questo malocchio, piuttosto che a questo diavolo. Insiste cioè una causa efficiente a portata di intervento. Mentre il medium (piuttosto che il guaritore) affida il malato all’azione di una certa formula, orale o simbolica che sia, il medico attribuisce il sintomo ad una certa malattia. In entrambi i casi, si ha la pretesa che il male sia provocato da qualcosa. Si ha piena e totale fiducia nel principio di causalità.
L’introduzione della categoria della causalità è certamente imputabile ad Aristotele, non può tuttavia negarsi che il filosofo incarni lo zeitgeist dell’epoca sua. Uno sguardo da nessun luogo, per dirla alla Thomas Nagel, non è una categoria ammissibile nell’Occidente aristotelizzato.
Lo stesso Heidegger non ammette la possibilità di una manifestazione che sia scevra dal soggetto che la pensi. La dualità implica la causalità. Così come infatti vi è una causa efficiente cui segue un effetto, vi è un principio fenomenologico cui segue un vissuto psichico in un osservatore.
Se non vuole gettarsi il bambino con l’acqua sporca ed imboccare improbabili orientalismi new-age, occorre almeno mutuare dall’Oriente l’Unita degli opposti. Se il soggetto (presunto) che offre il vissuto dipende dal soggetto (presunto) che lo pensa e viceversa, Pensare e Essere sono Uno.
Non esiste perciò distinzione, reale o presunta, tra la causa e l’effetto, e pertanto la cura della malattia è nel morbo stesso. Comprendo che la radicalità di tale conclusione possa spaventare i più, sicché prima ancora che ad un opposto, il nucleo fondante della fede dell’uomo occidentale si rivolge all’idea stessa che esista un’opposizione, nondimeno se non si vuole scivolare nella contraddizione ontologica di un essente che prima è e poi cessa di essere, questa è l’unica via che i sensi miei possono scorgere.
Zì Ninuccia
La fu Zì Ninuccia è stata una paziente del dottor Tommaso Esposito.
Pia donna, pregava giornalmente il rosario. Inconsapevole politeista come larga parte della popolazione del sud Italia, rivolgeva le sue preghiere a varie madonne oltreché a questo e quel santo.
Gli ultimi giorni della sua vita furono segnati da un fatto che dovette suscitare grande clamore.
Esposito accorse presso la sua abitazione sollecitato dai parenti.
La signora Ninuccia inveiva e bestemmiava senza che ciò suscitasse in lei scandalo alcuno. Era allettata.
La diagnosi fu di probabile Ictus che interrompendo qualche connessione neuronale avrebbe in lei cagionato la coprolalia cui era evidentemente preda.
La diagnosi popolare fu di possessione demoniaca.
Entrambe le diagnosi riportate ammiccano alla categoria della causalità.
Secondo la medicina culta: ictus -> morbosità
Secondo la medicina popolare: possessione -> morbosità.
A questo punto vale la pena di scomodare Freud. Nell’interpetazione dei sogni appare chiaro come nel linguaggio dell’insconscio, scevro dalle categorie dell’io, una affermazione ed una negazione si equivalgono. L’inconscio rigetta la causalità. Nel linguaggio onorico la causalità si traduce in un improvviso mutamento nello scenario del sogno (ma non è questa la sede per approfondire). Non esiste cioè un simbolo idoneo per la categorie delle categorie.
La signora Ninuccia stava preparandosi alla dipartita. La sua mente era già stata liberata dal gioco dell’οὔνομα. (Per approfondire leggi “essere tre per non essere nulla“).
Vivendo in uno stato di sogno, Ninuccia non bestemmiava, pregava il signore perché avesse in grazia la sua anima. Più imprecava più la sua pregheria era intensa e pacifica.
Conclusioni
Tanto ancora vi sarebbe da scrivere a proposito del meraviglioso lavoro di Esposito, pare tuttavia di scarso valore aggiunto seguitare a commentare un’opera (cui invito all’acquisto) su un blog online.
Vi lascio con un video scherzoso (ma neanche troppo) della fallace comunicazione tra un uomo e una donna (essere inconscio per antonomasia) avente il duplice scopo di rafforzare la succitata tesi e strappare due risate.