Viviamo per lavorare o lavoriamo per vivere?

Viviamo per lavorare o lavoriamo per vivere?

Viviamo per lavorare o lavoriamo per vivere?
La vexata quaestio che non tramonta mai.

Io sono un ingegnere, questo mi offre una prospettiva privilegiata sulle dinamiche lavorative del belpaese.
Pur occupandomi molto poco di ingegneria (ma anche questa affermazione non è del tutto vera), vanto un affaccio agevolato sul mondo del lavoro a mezzo dei miei (ex) colleghi che tre mesi prima di conseguire il titolo avevano già patito la sorte in dote a tutti i discepoli della tecnica: emigrare.
Non si fraintenda il senso del testo che segue. Non sono un hippy spensierato e allergico al lavoro. Io ho iniziato a darmi da fare dalla tenera età della mia adolescenza. A tredici avevo imparato a progammare, a quattordici scrivevo backdoor per hobby, a quindici vendevo software a pagamento.

Il protagonista del giorno però non sono io.
Le frequenti sbirciatine nella vita lavorativa dei miei colleghi mi hanno fatto maturare la decisa consapevolezza che l’uomo occidentale oggi vive per lavorare.
Il lavoro è uno status simbol. Uomini vuoti (non i miei amici, ci mancherebbe) che si compiacciono della propria giacchetta e fanno a gara su Linkedin a chi ce l’ha più lungo. E no, non quello che state pensando. Intendo il titolo. Iper mega ultra appuntato con sette stelle e dodici fregi aziendali responsabile della movimentazione internazionale dei carichi civili. Cosa fa? Lo spedizioniere.
Come tutto ciò che è degenere, anche questa follia è una geniale trovata del mondo anglofono.

Sempre in teoria, il monte ore complessivo è di 40 alla settimana.
Già di per sé è volgare costringere tanto a lungo un’anima in ufficio.
Questo però è nulla: se si sommano anche il tempo per gli spostamenti e lo spacco per la pausa pranzo, facilmente si rischia di restare intrappolati oltre le 50 ore a causa del lavoro.

Non vale nemmeno la pena aprire la parentesi polemica sulla scarsa qualità del tempo residuante, atteso che almeno otto ore vanno riservate al sonno.

Vorrei piuttosto concentrare l’attenzione sul senso ultimo del lavoro.
Badate: lo stipendio medio lordo di un impiegato in erba è di 1600 euro netti (al nord Italia).
Con un po’ di fortuna si riuscivano a mettere da parte cinquecento euro al mese (questo peraltro prima che qualcuno decidesse che era giunta l’ora di esportare la democrazia anche in Europa e qualcun altro che si stesse troppo stretti nello stato più esteso al mondo).

Senza volersi concedere altro piacere che la seducente voluttà di vedere il conto crescere (vuoi mettere che orgasmo?) bisogna attendere ad occhio e croce tre anni prima di permettersi una utilitaria di media fattura. Se includete anche l’assicurazione e le spese accessorie (che vanno tenute in conto nell’ammortamento dell’autovettura) si giunge al paradosso che si lavora per almeno quattro anni per potersi permettere una automobile che dopo due anni vale già la metà del prezzo iniziale.

Il karma del karma è chi LAVORA in una industria automobilistica per potersi comprare il prodotto che produce. Lo immagino tornare a casa raggiante “Hey mulier, oggi ho lavorato duramente. Grazie al mio impegno possiamo permetterci la parte destra del quarto pistone della nostra prossima utilitaria. Domani lo specchietto retrovisore.”

E qual è lo scopo? Dov’è il senso del sacrificio?
Ad oggi è arricchire qualche avido industriale che piange miseria e batte i piedi per terra perché a causa della crisi ha ridotto i propri utili.

Certo, oggi la scena è drammatica. Il costo del gas ha realmente messo in ginocchio l’industria del vecchio continente, ma forse non tutti i mali vengono per nuocere.
Forse inizieremo davvero a sollevarci dalla letargia che il modernismo ha imposto alle nostre menti.
Liberarsi del superfluo vuol dire sciogliere il giogo della tecnica.
Il vezzo è il germoglio della volontà di potenza.

Può esistere un mondo dove si lavora per vivere e si dedica il restante tempo alla contemplazione del creato. Verrà il giorno in cui cesseremo di guardare e inizieremo ad osservare. Quello è il giorno in cui franerà il neoliberismo. Allora la montagna non sarà più cava di pietra e scopriremo la meravigliante luce dell’Essere.

Fino ad allora, si salvi chi può.
Chi vuole, può A⇒B.
Inferenzando sulla contrapposizione ¬B⇒¬A,
Chi non può, non vuole
Nel senso che: chi non può è perché non vuole

E ammettetelo che vi siete un po’ rotti i maroni su ‘sto Linkedin…

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