Le categorie dell’utile e del giusto
Le categorie dell’utile e del giusto.
Non troppi anni fa assistevo ad una omelia di don Mario German della parrocchia di sant’Antonio di Pegli. Quella domenica proponeva una stimolante riflessione sulle categorie dell’utile e del giusto.
Naturalmente il caro Mario non usava la parola categoria come sinonimo delle categorie aristoteliche o kantiane.
Lui è uno splendido oratore, ma di mestiere fa il prete. La sua urgenza è raggiungere i cuori prima che le menti.
Curiosamente quella omelia ebbe però il merito di scalfire la mia curiosità.
A lungo riflettei sul rapporto tra l’utile e il giusto, oltreché sulla tendenza palese dell’uomo moderno di preferire la prima alla seconda.
Nella desolante era del tramonto dell’occidente, l’utile è il fine. L’azione dell’io che entificando l’essere lascia al suo posto la grigia muffa del vuoto. Oggidì l’uomo vive una compressione della propria libertà. La libertà non attiene esclusivamente alla categoria della quantità, ma più pragmaticamente alla qualità delle scelte prese.
Disporre di un vasto ventaglio di scelte non ti rende libero se ciascuna delle decisioni possibili orbita attorno allo stesso fine. Il fine dell’uomo è la volontà di potenza. Lo è anche per me che scrivo.
Negli ultimi tempi, meditando alcuni miei comportamenti, è tornata in cavalleria la vexata quaestio.
Sono davvero libero?
E se lo sono, come distinguo la categoria dell’utile da quella del giusto?
Mentre mi tormentavo con queste domande, mi imbatto per caso in una recente profezia mariana. Le parole della Madonna infierivano sulla già tormentata coscienza dello scrivente
Il materialismo e la modernità hanno reso impossibile all’uomo distinguere il bene dall’utile
Datele torto.
Atteso che la mia fede è qualitativamente e quantitativamente assai scadente, se non addirittura tendente al vuoto cosmico, non si può negare che Cristo è scomodo.
Cionondimeno, oltre che a scomodare, nelle sue frequenti incursioni il sacro offre anche le risposte che l’intelletto ricerca. Lo fa sempre, perché è scritto
Chi cerca trova
Io non amo la teologia. Comprendo e preferisco di gran lunga la filosofia. Non è pertanto nel mio interesse trasformare il blog in una omelia.
Ogni teoria, quale che sia la sua natura, osserva però dei metaprincipi di base.
Uno di questi è la necesseria formulazione di premesse, dalle quali inferire tutte le successive verità logiche.
Il problema della filosofia è che essa è tremendamente potente nel cercare domande, ma non si spreca nelle risposte. In questo senso la filosofia è scomoda come Cristo, perché entrambi spodestano gli assiomi dell’uomo. La filosofia nella mente, la chiesa nel cuore.
Ci ispirano ad abbandonare continuamente la nostra zona di comfort mentale per esplorare idee inedite e inusitate.
Fu quando ripetei a me questa verità che decisi di accogliere la voce che nella mia mente strillava: “l’utile è il mondo, il giusto è il disinteresse per il mondo”.
Il cuore non è una puttana, non può servire due padroni.
Nel Kali Yuga quando noi siamo, è estremamente frequente che l’utile e il giusto seguano sentieri opposti, come due vettori rotanti che puntino direzioni scoordinate.
In passato le due categorie erano indipendenti, o addirittura sovrapposte, non era perciò necessario scegliere una direzione piuttosto che l’altra. Seguendo l’utile si sceglieva il giusto e viceversa. Tuttalpiù le due direzioni potevano risultare ortogonali e la scelta dell’una o dell’altra non aveva alcuna conseguenza sulla sua duale.
Nei tempi correnti l’uomo fatica a distinguere il giusto dall’utile perché è per lui confodenente che la rinuncia alla materia comporti la vita nello spirito e viceversa.
La nostra libertà non è scontata. Va conquistata violentando gli agi del corpo.
Che libertà c’è nel seguire l’utile?
L’utile è l’episteme della natura.
Ogni singolo meccanismo evolutivo si fonda su una retroazione, governata dal fine della sopravvivenza.
La stessa intelligenza artificiale funziona a mezzo di reti neurali che meditano un fine (la minimizzazione di una certa funzione non lineare).
Una macchina non conosce il giusto.
Vogliamo essere macchine?
Questo è il monito che offro al mio cuore
perché compia il miracolo di vincere il mondo.
P.S.: tanti auguri alla mia Eleonora che oggi invecchia di un altro anno.
Tschuss tschuss