Note di un’estate corsa troppo in fretta
La fine della bella stagione rassomiglia ai postumi di una sbornia.
Sgombro la mente e provo a riorganizzare i ricordi: il rientro anticipato dal nord (ottenuto per mezzo di un congedo straordinario), la dolce compagnia di una avventura estiva, le lunghe passeggiate, i tramonti e le giornate spensierate.
Quanto è dolce l’aria d’estate.
A maggio facevo finalmente ritorno a casa, ebbro dei lunghi mesi di libertà che si prospettavano. La solitudine è l’inverno dello spirito, l’anima soffre ma la natura resiste e prepara gli steli rigogliosi che a primvera vinceranno la neve. Il rientro a casa è tracciato da due ricordi singolari. Il primo è il viaggio di ritorno, il secondo è lo spettro di una abbondante colazione consumata al centro commerciale in un censurabilissimo McDonald’s, di cui debbo per legittima discolpa tracciare i contorni. La mattina successiva al rientro (o una delle successive) convinsi un caro amico a incontrarci all’ipercoop. Egli accettò ma su condizione: a tutti i costi bramava il cappuccino ed il cornetto del succitato postaccio. Ita sit. Pagai io perché lui ha scelto la via del non lavoro. Filosofia Zen applicata, un po’ lo invidio. Gli mostrai il nuovo parco urbano (delizioso, sebbene arido a tratti) e chiacchierammo piacevolmente per l’intera mattinata. I giorni che seguirono si rincorrevano tutti uguali, tra pranzi in famiglia, pizze, panini e qualche chilo di troppo. Ero rinato.
Un nembo faceva tuttavia capolino all’orizzonte; per un paio di settimane alla soglia di giugno mi trovai nuovamente fuori casa, ma il tempo ne lavò la memoria. Frattanto continuavo a lavorare per il dottorato; tra un tesista, un paper e una simulazione ripagavo lo stato del congedo concessomi. Giugno trascorse ratto, nei suoi vespri ricordo una piacevole uscita con un improbabile gruppo di amici e nulla di più. L’abitudine non è foriera di ricordi.
Esordì Luglio, latore di lustre gioie e dolci addii.
I giorni trascorsi in compagnia della E. avevano la consistenza del fiele e il mellifluo volto della serenità. Facemmo quello che due giovani anime fanno, sebbene consapevoli della temporalità che la nostra condizione poneva. Osammo in quel pugno di giorni più di quanto la vita avesse bontà di concedere in mesi di esistenze comuni. E’ d’obbligo una precisione. La E. testè richiamata è la cugina di F., puro spirito di cui in tenera età ebbi ad innamorarmi. Senza che questo comporti pervertimento alcuno nella mente, le amavo entrambe, l’una nei ricordi e l’altra nella presenza. Questo fu Luglio, la stagione dell’amore.
Albeggiò agosto e io non ero pronto. Viaggiai l’Europa e approdai il Germania, fu piacevole realizzare che i tedeschi, checché ne raccontiate voi altri, ci amano. Furono giorni felici durante i quali scoprimmo le bellezze (e le bruttezze) di Berlino. Mangiavamo per nutrirci perché i piaceri della gola sono unbedingt verboten in territorio teutonico. Paese che vai, poltiglie nauseabonde che trovi. Quello che più mi ha impressionato è che a cielo sgombro la temperatura ricordasse solo vagamente il torrido Agosto che attenagliava l’Italia. Sospetto che i tedeschi non abbiano mai conosciuto il caldo, benché un africano possa muovere la medesima accusa a noialtri.
Oggidì è il primo settembre duemilaventuno.
Solo il Signore sa quanti altri inverni dovranno raffreddare la mia anima prima che io sia pronto alla Sua luce. La mia vita è Sua e solo Egli può lavare le anime dalle macchie del peccato. Inshallah.
Ogni stagione è un ciclo, ogni ciclo è una storia infinita.